Ci sono piccole storie di persone che non sono famose ma che vogliono affermare la loro semplice, unica, personalissima libertà di rincorrere i loro sogni.

La storia di Benito e del suo giardino incantato, sta diventando quella di un giardino proibito.

Quando quest’uomo mi ha chiesto di aiutarlo a scrivere una lettera aperta, sono andata a trovarlo e sono rimasta rapita ad ascoltare la sua storia struggente e straordinaria che tutti dovrebbero conoscere; sono rimasta a bocca aperta nell’ammirare quello che lui e la sua famiglia sono riusciti a realizzare, grazie anche all’entusiasmo di tutte le persone che vanno a visitare il suo delizioso giardino.

Voglio dare voce a questa vicenda perché possa essere una causa ascoltata, compresa, condivisa, accolta e perché no? anche sposata! 😉

Lettera aperta

San Martino – Platano (Caprino Veronese), 17 luglio 2019

 

Cara Silvia

ti scrivo perché anche se non ci sei più noi ci siamo sempre detti tutto.

Sei tu che mi hai incoraggiato a rincorrere i miei sogni. Quando è nato nostro figlio Filippo ho capito che non volevo continuare a fare il mio lavoro, pensare solo alla mia carriera, al guadagno.

Lo ricordo ancora, avevi quella camicetta azzurra che faceva risaltare il colore dei tuoi occhi e mi guardavi curiosa. Ero già appassionato di botanica e leggevo un sacco di libri.

Ti ho detto: «La vita non è tutta qui, voglio dare qualcosa di diverso nostro figlio, voglio avere più tempo e pensieri da condividere con lui. Voglio fare il giardiniere».

Tu ti sei messa a ridere ma non per scherno, solo per farmi capire che appoggiavi questa mia folle visione del nostro futuro.

Hai semplicemente risposto: «Se è quello che vuoi, rincorri quel sogno». E te ne sei andata via, sorridendomi complice.

“Che donna!” ho pensato in quel momento “E ha sposato me!”.

Era la mia vera vita con te, era la nostra storia d’amore. E quando te ne ho parlato tu stavi ancora bene. Una vita meravigliosa.

Come si dice? Te ne sei andata via troppo in fretta. Una frase riduttiva se penso a noi.

Io che facevo i corsi serali e studiavo di notte per diventare giardiniere, la tua rara, incurabile malattia, le visite, le degenze, tutti i tentativi sfibranti dei medici per farti stare meglio, ma che, prima o poi, risultavano inefficaci e ti indebolivano; il mio prendermi cura di te, della terra, imparare i principi delle aiuole sinergiche. Scoprire che alcune piante vicino ad altre si curano a vicenda. Fosse stato lo stesso per noi!

Mentre imparavo a far crescere piante sane dovevo accettare impotente l’inasprimento della malattia su di te. Vedevo gli alberi dare frutto, i fiori sbocciare, mentre tu sfiorivi tra le mie braccia; ma al mio sguardo apparivi sempre bella, anzi, più bella, perché la sofferenza nobilita. E attraverso i miei occhi ho insegnato anche agli altri a vederti come ti vedevo io.

Quando te ne sei andata, su quel nuovo terreno che avevo preso in affitto dai frati (solo fango sterpaglie e rovi) ho riversato tutto il mio amore, la mia pazienza. Quella terra era il mio sogno di farti continuare a vivere lì, tra un albero, un ruscello, uno scoiattolo, un fiore, una roccia.

Tu sei lì, ti sento in ogni elemento, ti sento quando respiro a pieni polmoni, nel tappeto d’erba in cui mi distendo all’ombra degli aceri con la mia nuova famiglia e racconto di te.

Tu sei lì, con me e con tutti quelli che vengono a visitare questo piccolo fazzoletto di terra, “pettinato” in modo naturale, un luogo dove famiglie, associazioni, persone di tante regioni trovano accoglienza e rifugio per una gita originale e suggestiva, un picnic in mezzo alla natura, una sosta che unisce istruzione, sperimentazionedivertimento e solidarietà.

Un sogno da condividere con più persone possibili. Un luogo nel quale posso “predicare” un messaggio positivo perché da piccoli semi crescono veri e propri monumenti verdi.

Un sito accessibile anche alle carrozzine, come la tua, quella che siamo stati costretti a usare nell’ultimo periodo.

Qui, attraverso il percorso nel bosco, i bambini scoprono qualche segreto sul rapportarsi con la natura e i suoi principi e imparano a rinvasare una piantina.

Qui gli adulti si riappropriano di ricordi e sensibilità che il tempo ha loro rubato.

Qui, nella parte dedicata alla foresta commestibile, sto creando anche un percorso sensoriale per i bimbi che non hanno la fortuna di poter vedere ma il cui tatto e olfatto possono vedere e sentire.

Qui, nel dolore per la tua scomparsa, nella pazzia della scelta, nell’investimento ingente, nella bonifica che ha recuperato la ricchezza e la bellezza di questo luogo, ho riversato tutto il mio amore e mille speranze per la mia famiglia, per gli altri e per me.

Qui ho fatto crescere nostro figlio e Vittoria, la figlia avuta con Paola, che ho sposato perché amo e perché anche lei ti ama, ti rispetta e capisce e sostiene ogni mia scelta.

Qui ho potuto creare un “Giardino dei sogni” e insegnare a grandi e piccini che c’è sempre speranza e che anche un albero che muore può far rinascere qualcos’altro dentro di sé, dar vita a un nuovo progetto.

Cara Silvia

mi vogliono togliere questo sogno, che non è più solo mio, è anche quello di tutti coloro che sono venuti a farmi visita.

Lo è di chi ha piantato un albero con me per ricordare un figlio, un parente o un amore perduto.

Lo è di chi ha creduto in quello che ho trasmesso, che ho insegnato con passione.

Lo è di ogni albero che ho classificato e al quale ho dedicato una frase, una poesia, per renderli tutti parte di una famiglia, per renderli tutti amici e alleati preziosi.

Purtroppo la proprietà è stata messa in vendita: «Tempo scaduto!».

Il contratto d’affitto di dieci anni è agli sgoccioli e il rinnovo, promessomi tante volte verbalmente in passato «non s’ha da fare». Vogliono vendere la nostra terra. I nostri sogni, gli investimenti, le mie promesse, i miei messaggi di speranza sembrano svanire.

Posso io tradire in questo modo tutte le persone che hanno creduto in me?

Cara Silvia

credi che debba davvero finire così?

O pensi che il loro Capo, quello che tu hai già la benedizione di frequentare, non farebbe loro una ramanzina per ricordare lo spirito della loro missione terrena?

Non dovremmo essere un esempio nella società, essere solidali con chi ha riversato tutto in un progetto che nasce per il bene comune?

Non dovremmo evitare che la “logica del mondo” determini i rapporti che ci sono tra noi?

Non dovremmo preoccuparci di dare un segnale chiaro, mostrando la nostra sensibilità e la nostra preoccupazione per un mondo più giusto?

E, cara Silvia,

non è buffo che io che vengo dal mondo degli affari mi sia avvicinato a uno stile di vita più semplice mentre chi dovrebbe condurre una vita con uno stile semplice sia più proiettato verso gli interessi “del mondo” che verso il bene della comunità?

Cara Silvia

ci stanno portando via la nostra famiglia: gli alberi, i fiori, i bambini, le coccinelle, tutto; stanno sradicando le nostre radici, che sono così importanti.

Qui era il luogo in cui venivo da bambino con mio nonno. Mi portava a vedere il letto del fiume Tasso.

Qui lui si prendeva il tempo e mi regalava il suo tempo per farmi vedere i piccoli alberi crescere.

Qui ho portato nostro figlio. Filippo sta facendo agraria e il mio sogno sarebbe che facesse botanica. A lui sto dedicando il mio tempo, il tempo che è il bene più prezioso e che insieme stiamo investendo per tutti quelli che ci vengono a trovare.

Quel tempo che ci è stato negato.

Quel tempo rincorso tra un ospedale e l’altro perché non c’era più tempo, per le cure, per noi.

Quel tempo che ora sta scadendo come il contratto. A quanto pare, anche ora non abbiamo di nuovo più tempo.

Quel tempo che, se ognuno di noi impiegherà per fare la cosa giusta, permetterà di non farti morire una seconda volta.

Quel tempo che le poche persone che hanno il diritto di decidere potrebbero spendere per venirmi a trovare e cercare con me, con tutti noi, una soluzione percorribile per una buona causa.

Cara Silvia

io so che quando un seme muore porta frutto. Il seme del “Giardino dei sogni” sei tu.

Per questo so che deve continuare a vivere.

Per sempre tuo,

Benny

«Nessuno può fare tutto ma tutti possiamo fare qualcosa».

 

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